lunedì 22 febbraio 2010

Memorie di Adriano - Marguerite Yourcenar

"Ho amato soprattutto i poeti più ermetici e oscuri, che costringono il pensiero alla ginnastica più ardua, sia i recentissimi sia gli antichi, quelli che mi aprono sentieri completamente nuovi, o mi aiutano a rintracciare piste smarrite.
Fino alla fine dei miei giorni sarò riconoscente a Scauro per avermi costretto a studiare il greco per tempo. Ero ancora bambino, quando tentai per la prima volta di tracciare con lo stilo quei caratteri d'un alfabeto a me ignoto: cominciava per me la grande migrazione, i lunghi viaggi, e il senso d'una scelta deliberata e involontaria quanto quella dell'amore. Ho amato quella lingua per la sua flessibilità di corpo allenato, la ricchezza del vocabolario nel quale a ogni parola si afferma il contatto diretto e vario delle realtà, l'ho amata perchè, quasi tutto quel che gli uomini han detto di meglio è stato detto in greco.
(...) La bellezza d'un iscrizione latina, votiva o funeraria, non ha pari: quelle poche parole incise sulla pietra riassumono con maestà impersonale tutto quel che il mondo ha bisogno di sapere sul conto nostro. L'impero, l'ho governato in latino; in latino sarà inciso il mio epitaffio, sulle mura del mio mausoleo in riva al Tevere; ma in greco ho pensato, in greco ho vissuto".

"In Egitto, ho visto dèi e re colossali; al polso dei prigionieri sarmati, ho trovato bracciali che ripetono all'infinito lo stesso cavallo al galoppo o gli stessi serpenti che si divorano l'un l'altro. Ma la nostra arte (quella dei Greci, voglio dire) ha preferito attenersi all'uomo. Noi soli abbiamo saputo mostrare in un corpo immobile la forza e l'agilità ch'esso cela; noi soli abbiamo fatto d'una fronte levigata l'equivalente d'un pensiero. Io sono come i nostri scultori: l'umano mi appaga. Vi trovo tutto, persino l'eternità".

"Roma non è più Roma. Dovrà riconoscersi nella metà del mondo o perire. (...)
Quando visitavo le città antiche, città sacre, ma morte, senza alcun valore attuale per la razza umana, mi ripromettevo di evitare alla mia Roma quel destino pietrificato d'una Tebe, d'una Babilonia, d'una Tiro. Roma sarebbe sfuggita al suo corpo di pietra , e come Stato, come cittadinanza, come Repubblica si sarebbe composta un'immortalità più sicura. (...)
Nella più piccola città, ovunque ci siano magistrati intenti a verificare i pesi dei mercanti, a spazzare e illuminare le strade, a opporsi all'anarchia, all'incuria, alle ingiustizie, alla paura, a interpretare le leggi al lume della ragione, lì Roma vivrà. Roma non perirà che con l'ultima città degli uomini".

"Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire".

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