sabato 27 febbraio 2010

Incipit di "No country for old man" - Cormac McCarthy

"Un ragazzo ho mandato alla camera a gas di Huntsville. Uno e soltanto uno. Su mio arresto e mia testimonianza. Sono andato a trovarlo due o tre volte. Tre volte. L'ultima il giorno dell'esecuzione. Non ero tenuto ad andarci, ma ci sono andato lo stesso. E non ne avevo di certo voglia. Aveva ammazzato una ragazzina di quattordici anni e posso dirvi subito che non ho mai avuto questa gran voglia di andarlo a trovare nè tantomeno di assistere all'esecuzione però ci sono andato lo stesso. I giornali scrissero che era un crimine passionale e lui mi disse che la passione non c'entrava niente. Lui con quella ragazzina ci usciva insieme, anche se era così piccola. Il ragazzo aveva diciannove anni. E mi disse che da quando si ricordava aveva sempre avuto in mente di ammazzare qualcuno. Mi disse che se fosse uscito di galera lo avrebbe rifatto daccapo. Disse che lo sapeva che sarebbe andato all'inferno. Proprio così, parole sue. Io non so cosa pensare. Non lo so proprio. Mi pareva di non aver mai visto uno come lui e mi è venuto da chiedermi se magari non era un nuovo tipo di persona. Li ho guardati mentre lo legavano alla sedia e chiudevano la porta. Il ragazzo poteva avere l'aria un tantino nervosa ma niente di più. Lo sapeva che da lì ad un quarto d'ora sarebbe stato all'inferno. Io ci credo. E ci ho pensato tanto. Non era difficile parlare con lui. Mi chiamava sceriffo. Ma io non sapevo cosa dirgli. Cosa si dice ad uno che per sua stessa ammissione non ha l'anima? Perchè gli si dovrebbe dire qualcosa? Ci ho pensato proprio tanto. Ma lui era niente in confronto a quello che sarebbe venuto dopo.
Dicono che gli occhi sono le finestre dell'anima. Io non so di cos'erano la finestra quegli occhi e mi sa che preferisco non saperlo. Ma da qualche parte intorno a noi esiste un'altra visione del mondo e altri occhi per vederlo ed è lì che questa storia sta andando a parare. Mi ha portato ad un punto della mia vita dove non avrei mai pensato di arrivare. Da qualche parte la fuori c'è un profeta della distruzione in carne e ossae io non voglio torvarmelo di fronte. Lo so che esiste davvero. Ho visto cosa è capace di fare. Sono già passato una volta davanti a quegli occhi. E non lo farò mai più. Non ho intenzione di mettere la mia posta sul tavolo, alzarmi e uscire per andargli incontro. Non sono invecchiato. Magari fosse per questo. E non posso neanche dire che dipende da quello che uno è disposto a fare. Perchè l'ho sempre saputo che uno deve essere disposto a morire se vuole fare questo lavoro. E io sono sempre stato disposto. Non per vantarmene ma è così. Se non sei disposto a morire quelli lo capiscono. Lo vedono in un batter d'occhio. Credo che dipenda soprattutto da quello che uno è disposto a diventare. E credo che in questo caso bisognerebbe mettere a rischio la propria anima. E io non voglio farlo. Ora che ci penso forse non l'ho mai voluto".

lunedì 22 febbraio 2010

Memorie di Adriano - Marguerite Yourcenar

"Ho amato soprattutto i poeti più ermetici e oscuri, che costringono il pensiero alla ginnastica più ardua, sia i recentissimi sia gli antichi, quelli che mi aprono sentieri completamente nuovi, o mi aiutano a rintracciare piste smarrite.
Fino alla fine dei miei giorni sarò riconoscente a Scauro per avermi costretto a studiare il greco per tempo. Ero ancora bambino, quando tentai per la prima volta di tracciare con lo stilo quei caratteri d'un alfabeto a me ignoto: cominciava per me la grande migrazione, i lunghi viaggi, e il senso d'una scelta deliberata e involontaria quanto quella dell'amore. Ho amato quella lingua per la sua flessibilità di corpo allenato, la ricchezza del vocabolario nel quale a ogni parola si afferma il contatto diretto e vario delle realtà, l'ho amata perchè, quasi tutto quel che gli uomini han detto di meglio è stato detto in greco.
(...) La bellezza d'un iscrizione latina, votiva o funeraria, non ha pari: quelle poche parole incise sulla pietra riassumono con maestà impersonale tutto quel che il mondo ha bisogno di sapere sul conto nostro. L'impero, l'ho governato in latino; in latino sarà inciso il mio epitaffio, sulle mura del mio mausoleo in riva al Tevere; ma in greco ho pensato, in greco ho vissuto".

"In Egitto, ho visto dèi e re colossali; al polso dei prigionieri sarmati, ho trovato bracciali che ripetono all'infinito lo stesso cavallo al galoppo o gli stessi serpenti che si divorano l'un l'altro. Ma la nostra arte (quella dei Greci, voglio dire) ha preferito attenersi all'uomo. Noi soli abbiamo saputo mostrare in un corpo immobile la forza e l'agilità ch'esso cela; noi soli abbiamo fatto d'una fronte levigata l'equivalente d'un pensiero. Io sono come i nostri scultori: l'umano mi appaga. Vi trovo tutto, persino l'eternità".

"Roma non è più Roma. Dovrà riconoscersi nella metà del mondo o perire. (...)
Quando visitavo le città antiche, città sacre, ma morte, senza alcun valore attuale per la razza umana, mi ripromettevo di evitare alla mia Roma quel destino pietrificato d'una Tebe, d'una Babilonia, d'una Tiro. Roma sarebbe sfuggita al suo corpo di pietra , e come Stato, come cittadinanza, come Repubblica si sarebbe composta un'immortalità più sicura. (...)
Nella più piccola città, ovunque ci siano magistrati intenti a verificare i pesi dei mercanti, a spazzare e illuminare le strade, a opporsi all'anarchia, all'incuria, alle ingiustizie, alla paura, a interpretare le leggi al lume della ragione, lì Roma vivrà. Roma non perirà che con l'ultima città degli uomini".

"Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire".

domenica 14 febbraio 2010

martedì 9 febbraio 2010

Orazio, Odi I 9

Vides ut alta stet nive candidum
Soracte nec iam sustineant onus
silvae laborantes geluque
flumina constiterint acuto.
Dissolve frigus ligna super foco
large reponens atque benignius
deprome quadrimum Sabina,
o Thaliarche, merum diota.
Permitte divis cetera, qui simul
stravere ventos aequore fervido
deproeliantis, nec cupressi
nec veteres agitantur orni.
Quid sit futurum cras fuge quaerere, et
quem Fors dierum cumque dabit, lucro
adpone, nec dulcis amores
sperne puer neque tu choreas,
donec virenti canities abest
morosa. Nunc et campus et areae
lenesque sub noctem susurri
composita repetantur hora,
nunc et latentis proditor intimo
gratus puellae risus ab angulo
pignusque dereptum lacertis
aut digito male pertinaci.

Laggiú si staglia il Soratte, vedi?, con candido
manto di neve. Stremati, faticano i rami
a reggere il peso. Per il gelo tagliente, fiumi e ruscelli si sono rappresi.
Dissolvi il freddo nutrendo la fiamma con larga
provvista di ceppi e senza risparmio
attingi, Taliarco, vino di quattr'anni,
puro, dall'orcio sabino a duplice ansa.
Il resto, rimettilo in mano agli dèi: bastò
che abbattessero i venti in lotta sul gran ribollire
marino, perché d'incanto i cipressi
non piú s'agitassero, e gli orni vetusti.
Che cosa t'attenda in futuro, rinuncia a indagare:
qualunque altro giorno t'aggiunga il destino, tu devi
segnarlo all'attivo. Sei giovane, non disprezzare gli amori gentili, le danze,
fin tanto che il tuo verdeggiare rimane lontano da uggiosa
canizie. Il campo sportivo, adesso, e le piazze,
e sull'imbrunire, all'ora che s'è concordata,
di nuovo uno scambio di dolci sussurri
e il riso che, lieto zampillo, tradisce la giovane
donna appiattata in un angolo oscuro
e, pegno d'amore, il monile, sfilato da un braccio,
da un dito che solo per finta rilutta.

sabato 6 febbraio 2010

Borges - Nubi

Siamo chi va: la nube numerosa
che si disfa a ponente
è l'immagine nostra. Incessante
la rosa si converte in altra rosa.
Sei nube e mare, sei smemoratezza.
Sei quello di cui più non hai certezza.

Harol e Maude

Due spezzoni di un film memorabile...



mercoledì 3 febbraio 2010

Philip Glass!

Il tema principale della colonna sonora del film "The Hours"




E uno dei suoi pezzi pù celebri...

Due poesie e un frammento di Alda Merini

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.

I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.

Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.





Io sono folle, folle, folle d'amore per te.
Io gemo di tenerezza perchè sono folle, folle, folle
perchè ti ho perduto.
Stamane il mattino era cosi caldo
che a me dettava quasi confusione
ma io era malata di tormento ero malata di tua perdizione.





Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia. (...)

Ringraziare voglio il divino




Uno spezzone tratto dal mitico "Boris - gli occhi del cuore". Il cortometraggio di Renè Ferretti ha come testo un estratto di una bellissima poesia di Borges... Che vi incollo al seguito


Ringraziare voglio il divino
labirinto delle cause e degli effetti
per la diversità delle creature
che compongono questo universo singolare,
per la ragione, che non cesserà di sognare
un qualche disegno del labirinto,
per il viso di Elena e la perseveranza di Ulisse,
per l’amore, che ci fa vedere gli altri
come li vede la divinità,
per il saldo diamante e l’acqua sciolta
per l’algebra, palazzo di precisi cristalli,
per le mistiche monete di Angelus Silesius,
per Schopenhauer,
che forse decifrò l’universo,
per lo splendore del fuoco
che nessun essere umano può guardare
senza uno stupore antico

per il mogano, il sandalo e il cedro,
per il pane e il sale,
per il mistero della rosa
che prodiga colore e non lo vede,
per certe vigilie e giorni del 1955,
per i duri mandriani che nella pianura
aizzano le bestie e l’alba,
per il mattino a Montevideo,
per l’arte dell’amicizia,
per l’ultima giornata di Socrate,
per le parole che in un crepuscolo furono dette
da una croce all’altra,
per quel sogno dell’Islam che abbracciò
mille notti e una notte,
per quell’altro sogno dell’inferno,
della torre del fuoco che purifica,
e delle sfere gloriose,
per Swedenborg,
che conversava con gli angeli per le strade di Londra,
per i fiumi segreti e immemorabili
che convergono in me,
per la lingua che secoli fa parlai nella Northumbria,
per la spada e l’arpa dei sassoni,
per il mare, che è un deserto risplendente
e una cifra di cose che non sappiamo,
per la musica verbale d’Inghilterra,
per la musica verbale della Germania,
per l’oro che sfolgora nei versi,
per l’epico inverno
per il nome di un libro che non ho letto,

per Verlaine, innocente come gli uccelli,
per il prisma di cristallo e il peso d’ottone,
per le strisce della tigre,
per le alte torri di San Francisco e di Manhattan,
per il mattino nel Texas,
per quel sivigliano che stese l’Epistola Morale,
e il cui nome, come preferiva, ignoriamo,
per Seneca e Lucano, di Cordova,
che prima dello spagnolo
scrissero tutta la letteratura spagnola,
per il geometrico e bizzarro gioco degli scacchi,
per la tartaruga di Zenone e la mappa di Royce,
per l’odore medicinale degli eucalipti,
per il linguaggio, che può simulare la sapienza,
per l’oblio, che annulla o modifica i passati,
per la consuetudine,
che ci ripete e ci conferma come uno specchio,
per il mattino, che ci procura l’illusione di un principio,
per la notte, le sue tenebre e la sua astronomia,
per il coraggio e la felicità degli altri,
per la patria, sentita nei gelsomini
o in una vecchia spada,
per Whitman e Francesco d’Assisi che scrissero già
questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e si confonde con la somma delle creature
e non arriverà mai all’ultimo verso
e cambia secondo gli uomini,
per Frances Haslam, che chiese perdono ai suoi figli
perché moriva così lentamente,
per i minuti che precedono il sonno,
per il sonno e la morte,
quei due tesori occulti,
per gli intimi doni che non elenco,
per questa musica, misteriosa forma del tempo.

Jorge Luis Borges
Un’altra poesia dei doni (da L’altro, lo stesso)

martedì 2 febbraio 2010

Lettere ad un giovane poeta - Rainer Maria Rilke

"Lei domanda se i suoi versi siano buoni. Lo domanda a me. Prima lo ha domandato ad altri. Li invia alle riviste. Li confronta con altre poesie, e si allarma se certe redazioni rifiutano le sue prove. Ora, poiché mi ha autorizzato a consigliarla, le chiedo di rinunciare a tutto questo. Lei guarda all'esterno, ed è appunto questo che ora non dovrebbe fare. Nessuno può darle consiglio o aiuto, nessuno. Non v'è che un mezzo. Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere? Questo soprattutto: si domandi, nell'ora più quieta della sua notte: devo scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice «io devo» questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità. La sua vita, fin dentro la sua ora più indifferente e misera, deve farsi insegna e testimone di questa urgenza."

Rilke al giovane Franz Kappus che gli chiede consigli... Ma il suo non è forse un monito che vale per qualsiasi cosa decidiamo di intraprendere?

Il pranzo di Babette




La scena finale de "Il pranzo di Babette" di Gabriel Axel, tratto da un racconto di Karen Blixen. Non ha bisogno di troppi commenti... E' davvero un gioiello.

Sugli altipiani d'Africa

In Africa avevo una fattoria ai piedi degli altipiani del Ngong. A un centocinquanta chilometri più a nord su quegli altipiani passava l’equatore; eravamo a milleottocento metri sul livello del mare. Di giorno si sentiva di essere in alto, vicino al sole, ma i mattini, come la sera, erano limpidi e calmi, e di notte faceva freddo.
La posizione geografica e l’altezza contribuivano a creare un paesaggio unico al mondo. Nulla che fosse grasso e lussureggiante: era un’Africa distillata lungo tutti i suoi milleottocento metri di altitudine, quasi l’essenza forte e raffinata di un continente. I colori, asciutti e arsi, parevano colori di terracotta. Gli alberi avevano un fogliame delicato e leggero, di una struttura diversa da quelli d’Europa: non si curvava in archi e cupole, ma si tendeva in strati orizzontali, il che dava agli alberi, alti e solitari, l’aspetto un po’ delle palme, o un piglio eroico e romantico di navi tutte attrezzate e pronte a partire, ma con le vele non ancora spiegate: e al margine dei boschi un’apparenza strana, come se l’intero bosco vibrasse leggermente. Nelle grandi pianure crescevano, sparsi, i vecchi spineti nudi e torti, l’erba aveva l’odore pungente del timo e del mirto delle paludi: in certi punti il profumo era così forte da far dolere le narici. Tutti i fiori che sbocciavano sui prati o fra i rampicanti e le liane della foresta, erano piccolini come quelli dei bassopiani; soltanto all’inizio delle grandi piogge spuntavano gigli monumentali, dal profumo pesante. Il respiro del panorama era immenso. Ogni cosa dava un senso di grandezza, di libertà, di nobiltà suprema.
Il tratto più caratteristico del paesaggio, e della vita lassù, era l'aria. Ricordando un periodo passato sugli altipiani d'Africa, si ha la sensazione sconcertante di essere vissuti nell'aria. Il cielo era di solito celeste pallido o violetto, solcato da nubi maestose, senza peso, in continuo mutamento, erte come torri; ma aveva in sè un tale vigore d'azzurro da colorare anche i boschi, e le colline accanto, di una tinta fresca e profonda.
Nel pieno del giorno l'aria, in alto, era viva come una fiamma: scintillava, ondeggiava e splendeva come acqua che scorre, specchiando e raddoppiando tutti gli oggetti, creando grandi miraggi. Lassù si respirava bene, si sorbiva coraggio di vita e leggerezza di cuore. Ci si svegliava, la mattina, sugli altipiani, e si pensava: "Eccomi qui, è questo il mio posto".

Karen Blixen
Out Of Africa

lunedì 1 febbraio 2010

Rain - Ryuchi Sakamoto

I sing the body electric - Io canto il corpo elettrico

I sing the body electric;
The armies of those I love engirth me, and I engirth them;
They will not let me off till I go with them, respond to them,
And discorrupt them, and charge them full with the charge of the Soul.

Io canto il corpo elettrico;
Le schiere di colo che amo mi abbracciano, ed io li abbraccio;
Non mi lasceranno andare finchè non sarò andato con loro, e non avrò risposto loro,
e non li avrò purificati, e non li avrò caricati in pieno con il carico dell'Anima.

Walt Whitman
da Leaves of Grass