venerdì 9 aprile 2010

Incipit de "Il danno" di Josephine Hart

Ho sempre pensato che il libro nel suo complesso fosse tutt'altro che un capolavoro... Ma qesto incipit è davvero bellissimo.

"C'è un paesaggio interiore, una geografia dell'anima; ne cerchiamo gli elementi per tutta la vita.
Chi è tanto fortunato da incontrarlo, scivola come l'acqua sopra un sasso, fino ai suoi fluidi contorni, ed è a casa.
Alcuni lo trovano nel luogo di nascita; altri possono andarsene, bruciati, da una città di mare, e scoprirsi ristorati nel deserto. Ci sono quelli nati in campagne collinose che si sentono veramente a loro agio solo nell'intensa ed indaffarata solitudine della città.
Per qualcuno è la ricerca dell'impronta di un altro; un figlio o una madre, un nonno o un fratello, un innamorato, un marito, una moglie o un nemico.
Possiamo vivere la nostra vita nella gioia o nell’infelicità, baciati dal successo o insoddisfatti, amati o no, senza mai sentirci raggelare dalla sorpresa di un riconoscimento, senza patire mai lo strazio del ferro ritorto che si sfila dalla nostra anima, e trovare finalmente il nostro posto.
Sono stato al capezzale dei morenti, che guardavano perplessi il dolore dei familiari mentre lasciavano un mondo dove non si erano mai sentiti a casa propria.
Ho visto uomini piangere più sconsolatamente alla morte del fratello, la cui esistenza si era un tempo intrecciata alla loro, che alla morte del figlio. Ho visto diventare madri spose che solo una volta, tanto tempo fa, erano raggianti sul ginocchio dello zio.
E ho fatto molta strada, in vita mia, procacciandomi compagni amati e sconosciuti; una moglie, un figlio e una figlia. Sono vissuto con loro, estraneo affettuoso in ambienti di una bellezza che non appaga. Abile dissimulatore, ho smussato in silenzio e con dolcezza gli spigoli del mio carattere. Ho nascosto l’imbarazzo e la pena con cui tendevo al disegno prescelto; e mi sono sforzato di essere ciò che coloro che amavo si aspettavano da me: un buon marito, un buon padre e un buon figliolo.
Fossi morto a cinquant’anni sarei stato un dottore, e un uomo politico affermato, anche se non sulla bocca di tutti. Uno che aveva fatto la sua parte, e che era stato molto amato dalla moglie afflitta, Ingrid, e dai figli, Martyn e Sally.
Alle mie esequie sarebbero intervenuti in massa coloro che nella vita avevano fatto più strada di me, e che per questo avevano onorato la mia memoria con la loro presenza. E coloro che erano convinti di aver amato l’uomo privato, che con le loro lacrime avrebbero deposto a favore delle sua esistenza.
Sarebbe stato il funerale di un uomo sopra la media, favorito dalla sorte più della maggior parte della gente. Un uomo che, all’età relativamente giovane di cinquant’anni, aveva finito il suo viaggio. Un viaggio che lo avrebbe portato di sicuro, se fosse continuato, a grandi imprese e onori.
Ma non sono morto nel mio cinquantesimo anno. E ora poche persone, tra quelle che mi conoscono, ritengono che questa non sia stata una tragedia".

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